Italy – The Symphonic Dream
Il senso, se dobbiamo trovarne uno, potrebbe essere riassunto in questa frase: “Se uno suona bene le tastiere e vuole dimostrarlo a tutti, è bene che si dedichi al Progressive Rock, meglio se di stampo sinfonico”. Più che una dichiarazione è un luogo comune, ma talvolta calza a pennello e spiega in maniera chiara perché un giovane musicista si “caccerebbe” nei meandri di un genere che non ripaga, specie in termini crudamente monetari.
Lo ha fatto questo Lars Boutrup, danese dalle belle qualità non solo tastieristiche, visto che in questo suo esordio suona tutto, eccezione fatta per batteria e basso.
L’intento del disco è piuttosto chiaro ed è la riproposizione dello schema virtuoso tastieristico del prog settantiano. L’autore cavalca lo stile, non solo del trio più logico Wakeman – Emerson – Banks, ma recuperando certi manierismi anche da nomi come Thijs van Leer e Rick van der Linden, strizzando l’occhio a stilemi molto classici, uniti a tocco e suoni spesso più moderni e talvolta più vintage, come già visto – ad esempio – con i lavori del Pär Lindh Project. Tra tutte queste ispirazioni e queste miscele di stili, risulta difficile trovare un riferimento particolare e superiore agli altri, un lavoro che a tratti è piuttosto vicino, per suoni e tipologia costruttiva, è “1984” di Anthony Phillips, tenendo conto che qui – ovviamente – c’è un forte elemento virtuosistico a discapito di qualche livello emozionale in meno.
Il disco è composto da otto tracce, dai 4 a 9 minuti e quasi tutte, pur piacevoli e melodicamente persino amabili, risultano abbastanza penalizzate ritmicamente, per colpa della linearità delle figure con rullante secco e costante, non siamo a livello del progetto Jabberwocky di Nolan e Wakeman Jr., ma l’orecchiabilità del risultato è piuttosto decisa e si scontra, di conseguenza, con l’esibizione tecnica dell’autore.
Si discostano da quanto detto un paio di tracce: “A song for John” con i suoi quattro minuti di pianoforte, ricco ed evocativo e la pacata “Space peace” quasi una ballad tra il Tony Banks solista di “A Curious Feeling” e certe cose ambient – new age. Mentre è esempio tipico della massiccia ritmicità del lavoro, unita a corse tastieristiche di notevole presenza “Eddy will not be ready”.
Tutto sommato un lavoro di buon senso, che avrebbe potuto essere persino migliore se solo pensato per un pubblico più prog e dalle esigenze meno sbarazzine, ma siamo sempre in quel discorso che si morde la coda da solo: ha senso fare un disco con intenzioni prog, ma che punti anche sull’orecchiabilità per piacere in senso più vasto? Io credo di no, perché, come in questo caso, ne viene fuori un disco solo piacevole, piuttosto che un buon disco.
Roberto Vanali